Un'Italia più digitale in cinque anni: una panoramica sul PNRR
Gli investimenti in connettività e tecnologie evolute sono protagonisti del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Ecco che cosa prevede per Pa, imprese e famiglie
Il fatto: cosa sta succedendo
Il Piano presentato dall’Italia e dagli altri Paesi membri dell’Unione europea nasce dall’esigenza di riparare i danni economici e sociali causati dall’emergenza sanitaria da coronavirus. Un intervento per rendere le economie e le società dei Paesi europei più sostenibili e pronte alle sfide e alle opportunità della transizione ecologica e digitale. Il Dispositivo per la Ripresa e Resilienza è uno dei due principali strumenti del Next Generation Eu, più conosciuto come Recovery Fund, nome ereditato dal progetto embrionale, cioè il “Fondo per la ripresa” approvato dal Consiglio europeo.
In parole semplici: cosa vuol dire
Il significato del Piano si legge nei suoi obiettivi: punta a un impatto sulla crescita del 3,6% nel 2026, con un balzo dell’occupazione di 3,2 punti nel triennio 2024-2026. Per farlo, adotta sei “Missioni” articolate in aree tematiche e strutturali di intervento: digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura; rivoluzione verde e transizione ecologica; infrastrutture per una mobilità sostenibile; istruzione e ricerca; inclusione e coesione; salute. Cruciali anche le riforme di pubblica amministrazione, giustizia, semplificazione normativa e concorrenza.
La Missione 1 mette al centro digitalizzazione, innovazione e cultura, ed è – con la rivoluzione verde – il capitolo più corposo. Si finanzia con 40,32 miliardi di euro, intersecandosi con tutte le altre missioni. La digitalizzazione è, infatti, una necessità trasversale, perché ha a che fare col continuo e necessario aggiornamento tecnologico in tutti i processi produttivi: le infrastrutture nel loro complesso, da quelle energetiche a quelle dei trasporti; interviene su didattica/istruzione, sanità (pensiamo anche solo alla telemedicina), per fare qualche esempio.
Gli effetti: perché ti riguarda
La Missione 1 impatta sulla connettività per i cittadini, per le imprese, sulla vita e l’organizzazione degli enti pubblici. Per cominciare, ha «l’obiettivo di trasformare in profondità la Pubblica amministrazione attraverso una strategia centrata sulla digitalizzazione». In poche parole, si vuole rendere la Pubblica amministrazione alleata di cittadini e imprese, con un’offerta di servizi efficienti e accessibili. Così si vuole superare il peso di diverse amministrazioni che non dialogano tra loro. Per farlo, la Missione agisce sulle «infrastruttura digitali», spingendo la migrazione al cloud (lo spazio di elaborazione e archiviazione virtuale) delle amministrazioni, accelerando l’interconnessione tra gli enti pubblici e snellendo le procedure secondo il principio «once only», con cui le pubbliche amministrazioni devono evitare di chiedere a cittadini e imprese informazioni già fornite in precedenza. In più, nel piano si rafforza la cybersecurity, ovvero i processi e le tecnologie contro gli attacchi informatici.
Vengono estesi i servizi in chiave tecnologica ai cittadini, dall’identità e domicilio digitale ai pagamenti.
La Missione fa leva sulle nuove tecnologie per migliorare l’accesso alle risorse turistiche/culturali, e promuove la trasformazione digitale delle piccole e medie imprese.
Tutti questi obiettivi sono raggiungibili solo attraverso importanti investimenti per garantire la copertura di tutto il territorio con Reti a banda ultra-larga (fibra FTTH, FWA e 5G): presupposto necessario per consentire alle imprese di catturare i benefici della digitalizzazione.
Uno sguardo al futuro: cosa succederà
Se l’Unione europea ha degli obiettivi di digitalizzazione a dieci anni, «noi vogliamo essere più ambiziosi e mettiamo obiettivi a cinque», dichiara Vittorio Colao, ministro per l’Innovazione tecnologica e la Transizione digitale. Cosa dobbiamo aspettarci, allora, guardando al futuro? «Al 2026 vogliamo che il 70% della popolazione usi l’identità digitale e sia digitalmente abile», continua Colao. «Desideriamo portare il 75% delle Pubbliche amministrazioni italiane a usare servizi cloud, arrivare ad avere almeno l’80% dei servizi pubblici erogati online e al 100% di famiglie e imprese raggiunte dalla banda ultra-larga». Un cambiamento che dovrà essere «radicale, diffuso e di lungo periodo».
Gli investimenti, si legge dunque nel piano inviato a Bruxelles, sono idonei a garantire un salto di qualità nel percorso di innovazione del Paese. Per capire quanto sia importante, basta partire dall’attuale fotografia dell’Italia, al 25esimo posto in Europa per livello di digitalizzazione a causa di ritardi che includono la limitata diffusione di competenze digitali e la scarsa adozione di tecnologie avanzate. Accelerare dunque la loro adozione nella Pa, tra le imprese e nelle famiglie «significa dare alla fine del quinquennio 2021-26 eque opportunità a tutti».
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