I grandi inquinatori piantano alberi contro la CO2 in cambio di crediti. Perché è un inganno
Come funziona il sistema dei crediti
Ogni credito costa circa 60 euro e rappresenta l’equivalente di una tonnellata di CO2 non emessa o assorbita in un progetto ecologico. I criteri della contabilizzazione delle emissioni e dell’assorbimento dei gas-serra nel settore agricolo e forestale sono stabiliti dal report «Guidelines for National Greenhouse Gas Inventories» dell’IPCC. Ad acquistare i crediti di carbonio, proprio quelle multinazionali che sono tra le più inquinanti al mondo, determinate a riabilitare la propria immagine. Nella classifica delle società che hanno prodotto più CO2 nell’ultimo mezzo secolo ai primi posti troviamo giganti petroliferi come Chevron, Saudi Aramco, BP, Gazprom e Shell. Le prime 20 aziende della lista hanno contribuito al 35% delle emissioni di CO2 dal 1965 per un totale di 480 miliardi di tonnellate di anidride carbonica equivalente (tCO2e).
Quanto piantano i grandi inquinatori
Nel 2020 Chevron dichiara di aver piantato 30 mila alberi in un’area dismessa della Columbia Britannica (Canada); Gazprom più di 60 mila alberi in Russia. Nel 2021 Total in collaborazione con Forêt Ressources Management sta piantando acacie in una foresta di 40 mila ettari sugli altipiani di Bateké in Congo. Saudi Aramco presenta come riforestazione 5,3 milioni di mangrovie lungo la costa del Golfo Persico, BP 100 mila piante di nettare per l’allevamento delle api in Azerbaigian. Anche le compagnie aeree fanno la stessa cosa. Nel 2019 Iberia ha riforestato un terreno vicino all’aeroporto di Madrid con i primi 1.500 alberi che dovrebbero diventare 4 mila entro il 2022; Ryanair ha riforestato con 135 mila alberi territori colpiti da incendi nell’Algarve in Portogallo, EasyJet ha comprato 3,1 milioni di crediti di carbonio per progetti di riforestazione in Perù ed Etiopia, Air France attraverso il programma «Trip And Tree» in tre anni ha piantato oltre 200 mila alberi tra Francia, Libano, Cina, Cambogia e Amazzonia ecuadoriana. Infine ci sono le società tecnologiche che acquistano sul mercato crediti di compensazione.
Cosa fanno i colossi di Internet
Nel 2020 Microsoft ha acquistato crediti per 1,3 milioni di tonnellate di CO2, Facebook per 145 mila, Google per 8 milioni negli ultimi 5 anni. Contemporaneamente Microsoft Advertising ha piantato 279.765 alberi in Uganda, Burkina Faso e Brasile, Google 5.396 nella San Francisco Bay Area , HP Papers 25 mila in Florida per il progetto «Arbor Day Foundation» e Accenture 3.828 in Danimarca. Verizon dichiara di aver promosso dal 2009 la piantumazione di oltre 6,1 milioni di alberi. Meglio di tutti fa la piccola Ecosia, motore di ricerca con sede a Berlino lanciato nel 2009. Dal suo debutto in rete la società, che non beneficia di crediti di carbonio, dona l’80% dei profitti a organizzazioni che si concentrano sulla riforestazione, dichiara di aver piantato più di 137 milioni di alberi.
Risultati
Risultati decisamente scarsi, sia a fronte della quantità di CO2 emessa dai grandi inquinatori, sia per il fatto che la riforestazione prevede in media mille piante per ettaro: ci vorranno decenni per compensare appena una frazione delle emissioni globali emesse. Secondo uno studio di Oxfam per assorbire tutto il carbonio che i grandi inquinatori continuano ad emettere occorre riforestare 1,6 miliardi di ettari, equivalenti a 5 volte le dimensioni dell’India. In altre parole non c’è abbastanza terra sulla Terra. Facciamo due conti. Le foreste occupano il 31% della superficie terrestre e in totale superano i 4 miliardi di ettari . Tra il 2001 e il 2019 sono stati persi 386 milioni di ettari di foreste nel mondo mentre nello stesso periodo ne sono stati recuperati attraverso la riforestazione e la rigenerazione spontanea solo 59 milioni, un’area più grande della Francia.
Per evitare l’aumento della temperatura non ci sono scorciatoie e il mercato dei crediti non è altro che una operazione di marketing per abbellire i piani di sostenibilità
Perché le foreste pluviali non vanno toccate
Le foreste pluviali come l’Amazzonia sono le più importanti perché ospitano una ricca biodiversità e sono essenziali per lo stoccaggio del carbonio. Quelle che hanno subito la maggiore deforestazione negli ultimi 20 anni si trovano in Brasile (26,2 milioni di ettari cancellati), Indonesia (9,7 milioni) e Repubblica Democratica del Congo (5,3 milioni). In totale i 10 Paesi che ospitano le maggiori superfici di foresta pluviale hanno subito la deforestazione di 54 milioni di ettari. L’espansione agricola resta il principale motore del disboscamento, ma negli ultimi decenni hanno inciso pesantemente lo spazio fatto ai pascoli per allevamenti intensivi e alle coltivazioni per cibo animale, l’estrazione di materie prime, il commercio di legname e la creazione di nuovi insediamenti urbani.
La foresta pluviale più grande del mondo
L’Amazzonia è la foresta pluviale più grande del mondo ed è cruciale per l’equilibrio climatico del pianeta. Si estende su una superficie di 634 milioni di ettari: oltre il 60% si trova in Brasile, il resto in otto Paesi sudamericani. Si stima che sopra e sotto la superficie della foresta siano immagazzinate circa 123 miliardi di tonnellate di carbonio. Il disboscamento selvaggio dell’Amazzonia brasiliana è iniziato negli anni ’70 e in mezzo secolo ha distrutto il 19% della superficie.
La politica di Bolsonaro
Con l’arrivo del presidente brasiliano Jair Bolsonaro, supportato dalla lobby dell’agro-business, l’intero ecosistema rischia il collasso. Nel solo 2021 sono scomparsi 10.476 km quadrati di vegetazione, un’area 13 volte più grande di New York, il livello più alto del decennio. In tre anni tra incendi e disboscamento sono stati cancellati 2.866.400 ettari di foresta (28.664 km quadrati), lo 0,6% dell’intera foresta brasiliana. Solo per bilanciare l’immenso danno servirebbero subito circa tre miliardi di alberi.
Il timore è che la foresta pluviale si trasformi in fonte di anidride carbonica (emettendone più di quella catturata) e che questa tendenza, già in atto nei territori interessati dal disboscamento, diventi irreversibile
L’era dei ricatti
Bolsonaro non era presente a Glasgow, ma ha mandato il suo ministro degli Esteri Carlos Franca, che ha firmato l’impegno a non distruggere le foreste. A partire dal 2030. In realtà per Bolsonaro lo stop potrebbe anche partire subito, in cambio vuole un miliardo di dollari l’anno per bloccare la deforestazione illegale fino al 40%. Una strategia che ricorda quella degli autocrati Erdogan e Lukashenko con l’Europa. Clima e migranti: è iniziata l’era dei ricatti.
Tratto dal Corriere della Sera, pubblicato il 17 novembre 2021, di Milena Gabanelli e Francesco Tortora